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Remote working, FAD e DAD

Remote working, FAD e DAD

Con la pandemia molte persone hanno rivisto il loro modo di vivere, e di lavorare. Alcune per necessità, essendo state espulse dal lavoro, altre per scelta, optando per “mestieri” e ruoli meno caratterizzati dal rapporto di dipendenza organizzativa, altre ancora per un mix delle due componenti. 

Chi ha potuto, forte delle proprie competenze e cogliendo il momento storico, ha implementato le proprie attività professionali, realizzando sogni prima non realizzati, e guadagnando di più, o meglio. Naturalmente questo secondo evento si verifica nel momento in cui vi è un ideale fit tra competenze, esperienze e specializzazioni della persona, da un lato, e richieste della nuova situazione socio-economica ed occupazionale, dall’altro. 

L’opportunità di individuare situazioni lavorative migliori e ruoli più interessanti fa da contraltare a tutti coloro che, trovandosi al di fuori dei “contenitori” organizzativi, si sono orientati sul lavoro autonomo – negli USA i freelance sono cresciuti di oltre mezzo milione, secondo gli ultimi dati.

Come è stato detto, chi trova un lavoro che appassiona non dovrà lavorare nemmeno un giorno nella propria vita! E il lavoro interessante è spesso… spazialmente lontano da dove si vive.

Altra scelta è quella di coloro che hanno approfittato della situazione – partendo già da una base solida o almeno abbastanza sicura – per iscriversi a master, corsi di specializzazione, corsi di certificazione, e così rinsaldare il proprio CV e le proprie competenze reali al fine di potersi ripresentare sul mercato del lavoro, un domani, in forma migliore.

Non solo il lavoro, ma anche la formazione e l’aggiornamento sono decisamente transitati online e ciò permette a un gran quantità di persone di migliorare la propria education a distanza, senza intraprendere costosi viaggi o dover permanere, ad esempio, all’estero per i periodi di tempo da dedicare ai corsi di formazione. 

Ancora una volta, chi già partiva da situazioni abbastanza robuste si trova avvantaggiato: ad esempio, chi già conosceva la lingua inglese ha avuto solo l’imbarazzo della scelta nell’individuare il master, il corso, il seminario di formazione da frequentare. E lo stesso vale per chi ha iniziato a svolgere lavori a distanza. Lingua inglese (e/o altre lingue) e dimestichezza con le tecnologie informatiche si sono rivelate fondamentali – e non c’era certo necessità di avere questa ulteriore conferma…

Certamente, al di là di situazioni difficili o addirittura drammatiche, è in corso un ripensamento circa l’oggetto lavoro che in realtà contempla una riconsiderazione globale sul tema: come voglio vivere la vita, questa vita! Ecco emergere la Great Resignation

E’ proprio necessario “timbrare il cartellino” cinque giorni su sette? 

Vivere un giorno dopo l’altro aspettando la pensione? 

Al di là delle attività che derivano dalle epoche industriali, la maggior parte del lavoro che non è più manuale bensì concettuale può essere svolto da remoto. O, almeno, in una condizione mix.

Ed è interessante che anche chi ha un “buon” lavoro – ben retribuito, interessante, sufficientemente stabile – ha iniziato a pensare che, tutto sommato, “vendere” il proprio tempo al lavoro non sia poi una cosa così splendida.

Ed ecco emergere il tema-problema che è stato agitato ultimamente. 

Si è detto: mai più la DAD! Un imperativo simile è emerso in ambito PA, con il lavoro a distanza o smart working (vedi il mio articolo pubblicato di recente sulla rivista PERSONALE E LAVORO, n. 627)

Improvvisamente, dopo aver elogiato – idealizzato! – queste nuove forme di lavoro e di istruzione, il quadro è stato da molti ribaltato. Demagogicamente, stupidamente, inutilmente. Come a dire: non usiamo più i coltelli perché… qualcuno li ha usati male, si è fatto male, ha compiuto atti ostili, non ha saputo come prenderli e come tenerli riposti, e così via.

Al di là di ogni giusta considerazione sulle forme “da remoto” di lavoro e studio, alla base il tema è: come sono usate queste nuove opportunità? Non se sono “buone” o “cattive” in sé. Ma ecco due esempi che portano acqua al mulino dei detrattori. Nel pubblico impiego, come scrivevo già 2 anni fa nel mio articolo "Smart working, digitale e new normal" il dipendente che lavorava poco, svogliato, imboscato, incompetente, con il remote working avrà certamente lavorato ancora meno. E così nella scuola, lo studente demotivato e disimpegnato, con la DAD, aiutato anche dalla possibilità di tenere la videocamera spenta (!!!), avrà quasi sempre acceso il pc e poi si sarà dedicato ai fatti suoi. Se non ci sono regole – poche e chiare – se non si organizzano controlli – chiari e severi – i soggetti peggiori (a meno che di qualche illuminazione) scadranno sempre di più, mentre le persone “normali” continueranno nel loro percorso di impegno perché… sanno ciò che fanno! (Per approfondimenti vedi anche il mio articolo "Che succede allo smart working?").

E’ che le regole, i divieti e i controlli servono per chi… “normale non è” – se vogliamo usare questo genere di etichettatura – e quindi devono essere impostati e ben organizzati, e devono essere applicati. 

Lavorare e studiare a distanza è una magnifica opportunità che, però, ha (anche) causato un effetto perverso, nella nostra realtà italiana: i migliori ne hanno usufruito e sono pertanto andati avanti, i peggiori hanno furbescamente usato l’opportunità di non lavorare e non studiare e sono quindi arretrati ancora di più nella scala della civiltà. 

Creando un danno a tutti i loro concittadini e ponendo le basi per un ulteriore peso sulla nostra società!

 

Andrea Castiello d’Antonio