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Settanta per cento. 70%.
Questa è la percentuale della recidiva di chi è stato in carcere in Italia.
Vale a dire che il 70% degli ex detenuti, una volta uscito dal carcere, commette ulteriori crimini.
Se una qualunque azienda privata mancasse regolarmente il 70% dei propri obiettivi andrebbe fallita nel giro di pochi secondi!
Se un’azienda pubblica, ad esempio un ospedale, causasse il 70% di ricadute nei pazienti che dichiara di aver curato e dimesso, andrebbe sotto ispezione nel giro di pochi minuti…
Il sistema penitenziario no.
Le carceri italiane possono permettersi di mancare ripetutamente il 70% del proprio obiettivo più nobile – la rieducazione del soggetto e il suo positivo reinserimento sociale – senza che ciò causi, e abbia causato, una particolare indignazione.
Ma non è soltanto questo “dato” (come si dice con malcelata pretesa di oggettività, lì ove stiamo parlando di esseri umani, che non sono certo dei “dati”) a creare sconcerto e a far sorgere l’interrogativo del Perché: perché non si è fatto e non si fa nulla di concreto per porre fine a questa situazione che non si sa se definire aberrante, stupida, masochistica, causata da incompetenza, inazione, burocratizzazione o dolo.
Di pochi giorni fa è la notizia, riportata da quotidiani, che nelle carceri si può avere di tutto: certamente droga, ma anche cellulari e armi. Cellulari e armi che naturalmente sono prontamente utilizzati, com’è accaduto nel carcere di Frosinone – vedi l’articolo di Giuliano Foschini e Fabio Tonacci “Carceri colabrodo, dal cielo piovono armi. Sui droni cinque anni di allarmi ignorati” (La Repubblica, 22 settembre 2021). Cito da questo articolo: “Quest'anno nelle celle e nelle sezioni di isolamento sono stati trovati quasi 200 cellulari al mese, 6 al giorno. Nel 2020 i poliziotti ne avevano sequestrati 1.761, nel 2019 1.206, una trentina nel 2018”.
Cellulari che entrano persino nelle celle del 41bis – vedi qui.
Quante volte abbiamo sentito ripetere che il livello di civiltà di un paese si può valutare sulla base del modo in cui tratta i detenuti… Si può quindi affermare che l’Italia non è un Paese adatto ai detenuti – anzi, è assai sconsigliabile. Ma come l’Italia non è un paese per detenuti, così non è un paese per anziani, giovani, disabili, donne, extracomunitari… L’elenco potrebbe essere molto lungo.
Tornando al sistema penitenziario del nostro Paese - vedi il mio articolo “Il carcere in Italia” - si tratta di un sistema nel cui organico mancano stabilmente migliaia e migliaia di agenti penitenziari – per non parlare della “non-presenza” sostanziale del personale socio-sanitario di cura e recupero, dagli psicologi agli assistenti sociali, fino ai mediatori culturali. Naturalmente, tutte figure professionali (quando presenti) sotto-retribuite, con l’effetto comprensibile di un non elevato e diffuso livello di motivazione al lavoro. Per non dire di altri, possibili, effetti.
Al momento sembra che le carceri italiane non sono state attrezzate per evitare né l’uso dei cellulari dall’interno (non sono state installate le apposite schermature o altri sistemi di neutralizzazione del segnale) né per individuare in tempo i droni in avvicinamento, bloccarli e risalire al pilota che li guida.
Ancora una volta, in qualunque situazione organizzativa, in un mondo del lavoro produttivo che volesse essere efficace e efficiente, mantenere stabilmente il personale sottopagato e numericamente sottodimensionato rappresenta con evidenza la premessa ideale per “non” far funzionare l’intera macchina organizzativa.
Ciò che accade nel mondo delle aziende, accade sicuramente anche nel mondo delle “istituzioni”, come appunto sono le carceri – non a caso denominate “istituzioni totali” dal sociologo canadese Erving Goffman (1922-1982): “un’istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che – tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo – si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato” (Goffman E., Asylums (1961; trad. it. p. 29, 1968).
Quindi si può concludere che, in Italia, è presente una pervicace volontà esplicitamente finalizzata a non far funzionare il sistema carcerario. Incredibile, ma vero…
Andrea Castiello d’Antonio