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In Italia, nella fascia di età compresa tra 45 e i 55 anni, abbiamo il brutto primato delle più elevate percentuali di persone che si sentono stressate a causa della propria attività lavorativa. Le più a rischio sono le donne, coloro che hanno contratti precari e quelli che lavorano oltre le 50 ore a settimana.
La risposta generata dallo stress si accompagna sempre a modificazioni fisiche interne di cui ci rendiamo conto solo attraverso dei segnali finali.
I principali campanelli d’allarme provocati dallo stress da lavoro e dall’ansia si riscontrano quando:
In generale l’organismo si prepara. A cosa? Si prepara alla fuga oppure all’attacco. E’ questa la primordiale risposta dell’organismo ad ogni tipo di stress: fight or flight response, attacco o fuga. Ma ce ne è un’altra, tra le risposte all’ansia e allo stress da lavoro, che dobbiamo considerare: la risposta di congelamento, la freezing-response, quando la persona “si blocca”.
Come si intuisce, sono risposte ataviche, non a caso osservabili in tutti gli animali.
Ma nel mondo civilizzato, e soprattutto nel mondo del lavoro, queste risposte sono perlopiù inibite, sfumate, deviate… Allora – anche a causa di questo processo di civilizzazione – nascono i problemi legati all’ansia e allo stress: disturbi psicosomatici, problemi psicologici, azioni irrazionali, e così via.
Ad esempio, se il sistema cardiovascolare è continuamente messo sotto pressione, è probabile che si traduca in una “ipertensione essenziale” che, da parte dei medici, è un modo neutro di dire che la persona ha la pressione alta e non si sa perché…
Vi sono molte ripercussioni che possono manifestarsi a livello fisico.
Non a caso il medico di base, o medico di famiglia, un tempo etichettava le persone in situazione di disagio senza cause apparenti come affetti da “esaurimento nervoso”, mentre oggi le etichetta come “stressate”…
Non è cambiato molto!
Oppure:
O ancora:
Anche le malattie più comuni possono essere in agguato: dal semplice raffreddamento, al prendersi ripetutamente influenze, dalla tosse che non scompare mai all'avere sempre mal di stomaco. E che dire del mal di testa, delle palpitazioni (“cuore matto”) degli indolenzimenti muscolari quasi costanti (soprattutto al collo e alla schiena), del senso di oppressione al petto, della stanchezza continua.
Spesso il cibo diviene un surrogato e allora si dà il via alle abbuffate serali, quelle che poi provocano insonnia e pesantezza al risveglio. Oppure ci si rivolge alla caffeina, al tabacco. C’è chi si rilassa con l’alcol, chi si concede “la canna” serale o di fine settimana, o peggio…
Tempo fa fu coniato il concetto di burn-out per indicare la persona che – a causa del lavoro e, soprattutto, di lavori che la espongono costantemente al rapporto con gli altri, e/o che implicano l’aiuto, il servizio sociale, il supporto sanitario e educativo – si sento bruciati. Cioè esauriti emotivamente, privi di energie, prosciugati, già stanchi al mattino appena svegli, che sentono la giornata di lavoro come un macigno sulle spalle, una condanna infinita… E che durante il tempo libero hanno solo voglia di riposare, dormire, non vedere nessuno, mentre sul lavoro diventano freddi e indifferenti alle richieste di chiunque.
Combattere tutto ciò con le pillole contro l’ulcera o con gli antidolorifici? A parte l’utilità di calmare i dolori, non servono a molto contro l’ansia e lo stress da lavoro.
Cambiare lavoro? Ma se si continua a vivere così l’esperienza del lavoro, tutto ricomincerà da capo.
Imbottirsi di ansiolitici? Se proprio ci si vuole “oppiare” può essere la strada giusta…
Dato che le stesse condizioni di lavoro ad alcuni generano stress e ad altri no - o a livelli assai limitati - si deve capire “cosa”, in particolare, per la persona – che è unica e irripetibile! – causa o con-causa la situazione di malessere.
Quindi, “quali” sono le cause dirette, “come” la persona vi fa fronte, “perché” finora non ha trovato vie migliori di uscita. E ancora: quali sono le risorse – i punti di forza – che la persona può mettere in campo, di quali sostegni o aiuti può disporre, quali sono le esperienze positive sulle quali può fare affidamento.
Sia la Psicoterapia vera e propria, sia il Counseling e il Coaching possono dare risposte importanti al malessere da lavoro.
In particolare, la psicoterapia può focalizzarsi sulle cause e sulle modalità di vita della persona, aiutando a sviluppare innanzitutto una visione realistica del proprio stato. Non drammatica, ma nemmeno edulcorata o superficiale: realistica!
La storia della persona e i suoi modelli di lavoro aiutano a capire come mai si è arrivati a questo punto. Si lavora, quindi, sullo stile di vita, dando spazio alle risorse positive e costruttive che la persona possiede, e proponendo facili accorgimenti al fine di gestire al meglio il tempo.
Il rapporto con l’idea e la realtà del “lavoro” viene approfondito, offrendo anche indicazioni su come fare a esercitarsi nel rilassamento psicofisico.
Tale forma di psicoterapia è anche una sorta di “nuova educazione” che ha lo scopo, appunto, di modificare la relazione tra se stessi, l’ambiente in cui si vive, e il lavoro, favorendo l’adattamento propositivo in modo graduale. E' questo il modo più efficace per eliminare lo stress da lavoro, lavorando sui sintomi e sulle proprie abitudini.
Come ha affermato Freud, il lavoro e l’amore sono le due aree di vita principali per l’adulto. Dunque, conviene impegnarsi a viverle bene, entrambe!