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Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica
Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica, un’eccellente opera sulla psicoterapia
Il volume che qui segnaliamo costituisce un’eccezione alla regola di recensire libri pubblicati di recente in quanto si tratta di una ristampa di un testo uscito nel 2003 in traduzione italiana (in edizione originale esattamente venti anni fa, nel 2000, con il titolo Negotiating the Therapeutic Alliance: A Relational Treatment Guide). Mai come in questo caso la ristampa di un libro appare opportuna e molto bene ha fatto l’editore Laterza a compiere questo passo, perché il lavoro di Jeremy Safran e Christopher Muran, "Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica", rappresenta un’eccellente opera sulla psicoterapia e su quella (ineffabile?) dimensione che si suole denominare alleanza terapeutica.
La platea dei lettori interessati a un libro come questo è costituita dai clinici di buona esperienza, da coloro che – leggendo queste pagine – avranno l’opportunità di richiamare alla mente non uno ma numerosi casi di pazienti con i quali hanno dovuto faticare nello sviluppare, mantenere o rinvigorire l’alleanza terapeutica. E i lettori saranno notevolmente facilitati dallo stile chiaro e semplice utilizzato dai due autori, giungendo a comprendere – nello specifico dell’intervento tecnico – “cosa” fare sia per la costruzione di una sana cooperazione con il paziente, sia per il recupero di alleanze che si trovano in situazioni rischiose o in bilico. Emerge, dunque, la capacità “personale” e non solo tecnico-professionale del terapeuta nel quadro di ciò che (richiamandosi a Lewis Aron e Irwin Z. Hoffman) è definita l’irriducibile soggettività degli interventi del terapeuta.
Il testo "Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica" è suddiviso in sette capitoli, iniziando con la definizione – e con una nuova definizione – del concetto che è poi elaborato nei suoi lineamenti fondamentali nel secondo capitolo. Con il capitolo terzo si entra decisamente nel problema delle “rotture” dell’alleanza terapeutica, offrendo un contesto ideativo che possa permettere al professionista di muoversi al fine di cogliere tali momenti in senso costruttivo (del resto, da più parti e da tempo sono emerse voci inerenti l’utilità delle fasi critiche della terapia, viste come “motori” per progredire nel percorso).
I due capitoli successivi affrontano questioni tecniche e specifiche che ancor più possono guidare il terapeuta nel rispondere alla domanda “cosa fare?” a fronte delle impasse terapeutiche. Si tratta di due capitoli di grande interesse arricchiti da un caso clinico ampiamente illustrato nel capitolo sesto che è centrato sulla terapia relazionale breve, modello impiegato anche nel successivo e finale capitolo dedicato alla formazione ed alla supervisione (anche in tal caso si può leggere la trascrizione di una sessione di formazione). Da segnalare che gli ultimi capitoli del volume sono strettamente connessi all’attività di ricerca portata avanti dai due autori.
Scorrere semplicemente i titoli dei sette capitoli non rende certo giustizia alla ricchezza di queste pagine in cui, continuamente, si possono apprezzare collegamenti e nessi di spessore, per di più sapientemente agganciati a riferimenti della migliore letteratura clinica, da Sullivan a Winnicott, da Greenson a Renik.
Il concetto di “alleanza terapeutica” è vecchio ma è sempre attuale. Probabilmente rinvigorito dalla recente attenzione sui “fattori terapeutici aspecifici”, rappresenta una sorta di cornice entro la quale si situano tutti gli atti di cura psicologica, e non solo psicologica (in medicina si parla correntemente della compliance del paziente, cioè della qualità della collaborazione nel seguire le prescrizioni del medico curante).
I limiti di questa nuova edizione sono i seguenti. La Bibliografia non è aggiornata in merito alle traduzioni italiane che sono comparse nel corso degli anni, così come non sono state aggiornate le biografie dei due autori. Alcuni termini sono resi in traduzioni desuete come la “psicologia a due persone” invece che bipersonale. Ma ancora più importante – considerato il particolare posizionamento teorico del lavoro di Safran e Muran – sarebbe stato interessante arricchire la nuova edizione con una doppia prefazione, una a firma di un cognitivista (ed è quella, pubblicata, di Giancarlo Dimaggio) e l’altra a firma di uno psicoanalista o di un esponente delle psicoterapie dinamiche.
E ora una parola sui due autori
Jeremy D. Safran è stato un clinico e un docente riconosciuto a livello internazionale, ideatore (con Leslie Greenberg) della EFT – Emotion Focused Therapy, grande conoscitore della Mindfulness e autore di lavori importanti come Psicoanalisi e terapie psicodinamiche (tradotto in italiano nel 2003 da Raffaello Cortina). Ha lavorato come professore di psicologia in diversi contesti tra cui la New School for Social Research (ove è stato anche direttore e co-fondatore del Sandor Ferenczi Center) e ha assunto ruoli associativi di rilevo nella IARPP - International Association for Relational Psychotherapy & Psychoanalysis. Si potrebbe continuare a lungo elencando i ruoli ed anche i riconoscimenti che Safran ha avuto nella vita, concludendo purtroppo con la sua tragica morte, avvenuta nel maggio 2018 a Brooklyn, aggredito in casa da uno sconosciuto.
Di Christopher Muran credo che sia significativo trarre alcuni brani dalla sua autopresentazione che si legge nel sito web della Adelphi University (traduzione del recensore): “Ho ricevuto una completa formazione sia nella tradizione cognitiva che psicoanalitica, e ho scritto molto su una teoria relazionale del Sé e del cambiamento che integra principi di diversi orientamenti teorici e di altre discipline scientifiche. Ho dedicato gran parte del mio tempo e delle mie energie alla ricerca in psicoterapia, applicando una vasta gamma di metodi di ricerca e concentrandomi in particolare sul processo di trattamento e di formazione. La mia filosofia di education si basa su un'epistemologia dialogica. Di conseguenza, la conoscenza avanza promuovendo il dialogo tra una pluralità di prospettive. Confrontando altre prospettive e arrivando a capirle, possiamo chiarire le differenze (oltre alle somiglianze) in un modo più sfumato e imparare ad arricchire il nostro punto di vista. Possiamo muoverci verso una nuova comprensione condivisa di un argomento che è più differenziata e articolata rispetto alle opinioni separate con cui è iniziato il dialogo”.
Andrea Castiello d’Antonio
Questa recensione è stata pubblicata sul numero 244 (Giugno 2020) di “Qi – Questioni e Idee in Psicologia”