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ZIMBARDO. MEMORIE DI UNO PSICOLOGO

Titolo: 

ZIMBARDO. MEMORIE DI UNO PSICOLOGO

Autori: 
Daniel Hartwig
Casa editrice: 
Giunti Psychometrics, Firenze, 2020, Pp. XIII+318, Euro 26,00

Questo è un libro che è, insieme, la testimonianza di una vita dedicata a diversi aspetti della psicologia, e una sorta di intervista-romanzo, di vita raccontata che spazia su tante dimensioni personali e sociali.

Le interviste che sono qui riprodotte sono state effettuate tra il 2016 e il 2017, e il testo è stato curato da Daniel Hartwig della Stanford University. Nel 2016 Zimbardo stava per compiere 84 anni e, rispondendo alle domande dell’intervistatore, si descrive come una persona che inizia ad avere delle difficoltà di movimento e di vita autonoma – con le sue stesse parole, “inizio ad avere dei limiti” (p. 186). Si tratta, quindi, di una grande retrospettiva, una sorta di percorso a ritroso da parte di una persona anziana che tocca certamente tutti i momenti importanti della vita dell’autore, comprese alcune situazioni e alcuni fatti che hanno suscitato non poche controversie nel mondo della psicologia accademica e professionale.

Zimbardo – che porta il nome del nonno paterno, Filippo – ha origini italiane, precisamente siciliane e fa parte delle seconde generazioni degli immigrati italiani giunti negli Stati Uniti d’America. Quindi americano a tutti gli effetti, ha vissuto nei primi anni della sua vita la vera povertà, oltre a situazioni fisiche assai impegnative causate da vari disturbi fisici.

Vissuto sulla strada, si è dovuto ben presto confrontare con pregiudizi e ostilità, con la vita violenta del gruppo dei coetanei, con le sopraffazioni dei più grandi e dei più forti: insomma, una specie di scuola di psicologia pratica ante litteram!

Da ragazzo ha conosciuto Stanley Milgram e riferisce di aver ben presto capito che il mondo (sociale) era in sostanza diviso in due parti: i capi, e coloro che li seguivano. E, certamente, una buona parte degli interessi di ricerca successivi di Zimbardo affondano le radici in queste esperienze lontane: “sono stato discriminato da bambino perché ero considerato un ebreo; alla scuola superiore, perché ‘appartenevo alla mafia siciliana’, a Yale perché ero nero” (p. 51).

Proprio presso l’Università di Yale Zimbardo si specializzò ed entrò a pieno titolo nel mondo della ricerca psicologica e dell’insegnamento orientandosi decisamente verso la psicologia sociale, ma con qualche esperienza iniziale anche nel campo della clinica (ad esempio, ha seguito i corsi di psicopatologia di Irving Janis). Ma è proprio nel campo del sociale, e quindi anche delle organizzazioni, delle istituzioni, dei comportamenti di ruolo, che Zimbardo è ricordato come un punto di riferimento ancora oggi di rilievo. Nascono così gli studi sulla deindividuazione, sull’anonimato sociale, sulle condizioni degli emarginati e dei prigionieri nelle carceri, ma anche l’impegno sociale e politico (erano i tempi della guerra in Vietnam). Da qui agli studi sul potere, sulla leadership e sui gregari il passo è stato breve, ma l’esperienza di docenza, portata avanti per tanti decenni, ha permesso a Zimbardo di fare delle interessanti riflessioni anche sulla formazione e sulla gestione del gruppo dei discenti.

Un punto abbastanza recente e assai controverso dell’opera di Zimbardo riguarda la sua consulenza come esperto di difesa nel processo contro una delle guardie accusate di torture nel carcere di Abu Ghraib. La sua difesa – che pure sembra che abbia favorito una riduzione della pena inizialmente richiesta – si basava sulla classica idea del potere delle situazioni e, quindi, tendeva a scagionare la responsabilità individuale del soggetto: “sono sicuro al cento per cento che non si sarebbe mai comportato in quel modo se gli stessi militari non lo avessero posto in una condizione insostenibile” (p. 168).

In effetti, la visione ambientalista, situazionista, di Zimbardo, propugnata anche nel suo best-seller L’effetto Lucifero (tradotto in italiano dall’editore Raffaello Cortina) – vedi la mia recensione dell’edizione inglese di questo libro The Lucifer Effect. How Good People Turn Evil (New York: Random House, 2007) nel numero 3-2008 della rivista Psicoterapia e Scienze Umane – non convince una gran parte di psicologi. Ma Zimbardo è stato anche criticato per l’eclettismo dei suoi interessi e per quella che è stata definita, senza mezzi termini, superficialità di approccio e di riflessione.

La parte finale del testo contiene una serie di documenti sotto il titolo di Appendice. In tutto si tratta di dieci documenti il primo dei quali è forse il più interessante: Replica alle critiche sull’esperimento della prigione di Stanford. Seguono gli altri documenti che spaziano su tematiche assai diverse, dalla persuasione ai pregiudizi, dalla malvagità all’eroismo, dalla discriminazione alla disobbedienza.

In sostanza, queste Memorie di uno psicologo (è il sottotitolo del libro) si colloca nel filone della raccolta dei resoconti orali e permette al lettore di prendere in considerazione non solo l’opera scientifica dell’intervistato ma anche la sua vita e il complesso delle esperienze maturate al di là del mondo della psicologia.

 

Andrea Castiello d’Antonio

 

 

Questa recensione è stata pubblicata nel sito web

PANORAMA RISORSE UMANE

 Settembre 2022